Che tempo fa dentro di noi oggi? Alla scoperta di sé stessi

Che tempo fa dentro di noi oggi? Alla scoperta di sé stessi

di Luca Oppici

Personalmente trovo molto utile, quando svolgo laboratori nelle classi in cui faccio formazione, compiere una prima fase di rilevazione dell’atmosfera emotiva. Una sorta di bollettino meteo applicato al nostro mondo emotivo: “che tempo fa di dentro di noi oggi?”.
Ciò mi permette di consapevolizzare il clima emotivo in cui sto svolgendo il mio lavoro e modulare il mio intervento in base alle sfumature che emergono dalla condivisione.
Questo esercizio, se si può chiamare così, non è assolutamente fuorviante rispetto al focus del percorso formativo, anzi è facilitante.

 

Le emozioni e i sentimenti, ma soprattutto la consapevolezza di essi permettono connessioni che creano relazioni con il proprio mondo interiore e con l’ambiente circostante. Sono la chiave principale per aprire la porta di conoscenza e comprensione di Sé.

 

Questo periodo ha rappresentato per molte persone una sorta di riposizionamento della scala dei valori e delle priorità. Un qualcosa che ha a che vedere con la domanda del tipo: “ok vista la situazione cosa ho imparato o posso imparare da questa quarantena?”
Anche nel riprendere questi argomenti con i ragazzi con cui ho svolto questo percorso di formazione sono emersi e non abbiamo tralasciato i vissuti di noia, nostalgia, scoperta e sorpresa, tristezza e rabbia. E forse una cosa che abbiamo imparato è che se ci diamo tempo ed eliminiamo i rumori di sottofondo che spesso invadono le nostre vite frenetiche riusciamo a “sentire” e contattare i sentimenti che ci attraversano capendo il perché ci vengono a fare visita. In questo modo riusciremo a scoprire qualcosa di più di noi stessi e magari condividendo maggiormente con gli altri ciò che proviamo ci accorgeremo di non essere immersi in quella condizione esistenziale che ci fa sentire soli.
Una nuova strada verso il benessere.

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La mancanza dei gestisti quotidiani e la (ri)scoperta dell’essenziale

La mancanza dei gesti quotidiani e la (ri)scoperta dell’essenziale

di Carlotta Pizzi

“Benedetti siano gli istanti,
e i millimetri, e le ombre
delle piccole cose.”
(Fernando Pessoa)

 

In alcuni momenti del progetto, nelle parole dei ragazzi, è emersa una nuova consapevolezza rispetto all’importanza delle piccole cose che mi piacerebbe chiamare “consapevolezza del minuscolo”. Sono i gesti quotidiani, le abitudini rassicuranti a cui non facevamo più caso, un certo modo di prestare attenzione a ciò che davamo per scontato e che ora ci manca, come la sensazione di calore del sole sulla pelle o il sorriso degli amici.

 

Nei racconti di alcuni a mancare sono perfino i piccoli momenti di tensione coi compagni di classe, le prese in giro tra chi si conosce e condivide ogni giorno l’aula e il banco, le sfide a chi “finirà per primo il libro”, perché davano un colore vivo, eccitante alle giornate. I ricordi condivisi diventano così il filo rosso che unisce nella distanza, che tiene accese certe emozioni, l’assenza stessa di qualcosa gli attribuisce ora un valore nuovo. In fondo sono spesso proprio le piccole cose a provocare i cambiamenti più grandi dentro di noi, sono i dettagli di una persona, un luogo, un gesto ad agganciarsi nella nostra memoria restituendoci la nostra idea del mondo. Sono i profumi, i gusti e i suoni.

 

Il periodo di isolamento che abbiamo vissuto anche attraverso gli occhi dei ragazzi ci ha riportato alla dimensione dell’essenziale, di cui spesso si parla ma che si vive raramente.
Invece il tema del benessere, dell’avere cura di sé e degli altri, parte integrante del percorso che abbiamo fatto insieme, è diventato il focus quotidiano di ogni notizia, ogni conversazione, ogni nostro pensiero.

 

Ripartiamo da qui, ricordandoci di conservare questo sguardo nuovo sulle piccole, essenziali cose ancora a lungo, consapevoli del loro grande potere nel tenerci connessi gli uni agli altri.

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Il segreto per imparare a conoscersi

Il segreto per imparare a conoscersi

di Federico Dibernardo

Pare che nel mondo moderno si parli molto di consapevolezza di sé stessi, come chiave di successo. Spesso insegniamo ai nostri ragazzi che la chiave per essere felice è vivere la vita con consapevolezza e piena conoscenza di sé. Tuttavia, quello che spesso non riusciamo a trasmettere sono gli strumenti da utilizzare per conoscerci appieno.

 

Credo sia giusto pensare che essere consapevoli di noi, della nostra personalità e soprattutto dei nostri desideri, ci orienti nel mondo in modo mirato e produttivo. Ma come facciamo a conoscerci? Come capiamo quali sono i nostri desideri?
Nelle classi con cui abbiamo lavorato è uscito fuori il tema dell’accettazione di sé stessi legata al concetto di benessere, nulla di più vero: non esiste consapevolezza di sé slegata dal concetto di accettazione di sé.
La chiave per una completa e serena conoscenza di noi stessi risiede in prima istanza proprio nell’assenza di giudizio “come sono va bene, in ogni caso, perché io ho la mia storia e la mia vita conta esattamente come quella delle altre, né più e né meno”.
Tuttavia, la vita in cui cresciamo è spesso contornata di contraddizioni e messaggi paradossali “sii te stesso ma non come Luigi che fa un lavoro troppo umile o sii te stesso ma un po’ meno di Anna che ha intrapreso una carriera che non la porterà da nessuna parte”.

 

Come conoscerci quando mille messaggi dal mondo, e spesso dal nostro stesso nucleo famigliare, ci crescono con una percezione chiara che alcuni modi di essere e vivere sono più giusti di altri? Come faccio a capire quali sono i miei desideri se cresco nella paura che ciò che potrei desiderare non sia conforme ai canoni e gli standard di quello che vedo intorno a me?
Impariamo a volerci bene in qualunque modo siamo e dopo che lo abbiamo imparato insegniamolo ai nostri ragazzi. Ricordiamo loro la bellezza dell’affetto senza vincoli e condizioni, desideriamo di conoscere davvero i nostri ragazzi senza il timore di vederli crescere diversi da come vorremmo. Solo attraverso il nostro pieno appoggio insegneremo loro a conoscersi davvero, senza avere paura di quello che vedranno dentro di loro.

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Il contatto fisico: come trovare l’equilibrio tra paura e mancanza

Il contatto fisico: come trovare l’equilibrio tra paura e mancanza

di Luca Oppici

Forse uno degli aspetti che i ragazzi hanno sentito maggiormente nelle relazioni umane è la mancanza di contatto fisico e vicinanza in questo periodo di isolamento domestico forzato.
Nella dimensione primordiale il toccare è la porta principale che il bambino utilizza per conoscere il mondo ed entrare in relazione con le altre persone. La dimensione del corpo e dell’utilizzo del corpo nella relazione è fondamentale anche una volta cresciuti e divenuti adulti.

 

In questo periodo il distanziamento e la riduzione della vicinanza e del contatto fisico ha inevitabilmente messo in evidenza una percezione di ambivalenza del proprio corpo. L’oscillazione tra due poli definiti che si muove tra la paura del contagio, dell’essere veicolo di trasmissione, potenziale pericolo per i propri cari e la necessità di vicinanza e calore umano che solo un abbraccio o una pacca sulla spalla possono dare.

 

Questa situazione ha sicuramente richiamato ad un senso di responsabilità delle proprie azioni e del proprio corpo che si muove nello spazio, ci ha fatto percepire i luoghi solitamente abituali in modo diverso perché diversa era la funzione che ricoprivano. E allora la cucina è diventato il luogo della creatività in cui immergersi in ricette mai sperimentate, il tavolo della sala è diventato spazio dove divertirsi con i propri genitori ad un gioco in scatola, il bagno è diventato il luogo del relax e dell’isolamento, in tutto questo si è sperimentato un nuovo modo di stare in contatto ed in relazione.

 

Un altro aspetto toccato dai ragazzi riguarda l’immaginarsi le nuove relazioni, nella cosiddetta “Fase 2”, gioco di proiezione del proprio sé nei confronti dello spazio aperto, delle interazioni con l’Altro non-familiare, le paure, le ansie, ma anche le curiosità nell’inventarsi modalità nuove di stare in relazione. E allora spazio all’immaginazione!

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Come approcciarsi ai cambiamenti?

Come approcciarsi ai cambiamenti?

di Federico Dibernardo

È naturale predisposizione dell’essere umano temere con ogni fibra del suo essere il cambiamento, e tutto quello che comporta. È altresì naturale condizione di vita che il cambiamento piombi nella nostra realtà arbitrariamente e quasi certamente proprio quando iniziamo ad adagiarci e sentirci comodi nell’equilibrio trovato.

 

C’è da chiedersi: se non possiamo fare a meno di cambiare, di rivoluzionare, volontariamente o non, le circostanze della nostra vita, perché questo processo è così temuto e spaventoso per noi esseri umani? Stupisce e fa sorridere la costante, quasi compulsiva, ricerca umana di stabilità, a fronte di lezioni di vita importanti che ci insegnano che di stabile e certo c’è davvero ben poco nel mondo. Quello che sappiamo è che l'adolescenza è vissuta e conosciuta come un periodo di grandi cambiamenti e destabilizzazioni, per i ragazzi ma anche per l’intero nucleo famigliare. Quello che non siamo abituati a comprendere è che l’adolescenza è solo l’inizio del cambiamento, della rottura delle abitudini: l’inizio di cambiamenti che dureranno per il resto della nostra vita. L’equilibrio per sua natura è fatto per essere rotto, le abitudini per essere infrante e le aspettative per essere disattese. Winston Churchill diceva “non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare”.
In questa frase è racchiuso il perché, nonostante si lotti duramente per mantenere le cose belle della nostra vita stabili e certe questa ci imponga il cambiamento: unica strada possibile per migliorarci, imparare e crescere. La rottura di un equilibrio porta con sé paura e grande resistenza, solo dopo grandi lotte con noi stessi ed il mondo accettiamo i cambiamenti, ed è proprio in questa lotta che cresciamo e ci miglioriamo.
Spesso ci ricordiamo il poco controllo che abbiamo sulla nostra realtà e questo periodo difficile di COVID-19 che stiamo attraversando ci è stato di esempio.
Ci illudiamo di controllare e manipolare a nostro piacimento la vita, poi questa ci sorprende, cambia le carte in tavola e dobbiamo nuovamente adattarci: la chiave non sta nel manipolare gli eventi e le situazioni ma nell’accettare di non avere controllo, che le cose cambiano, consapevoli di avere tutti gli strumenti per riprenderci ed uscire dalle situazioni, possibilmente migliorati e con qualcosa in più nel nostro bagaglio di vita.

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Tempo per sè stessi, il ruolo “educativo” della noia

Che tempo fa dentro di noi oggi? Alla scoperta di sé stessi

di Luca Oppici

Personalmente trovo molto utile, quando svolgo laboratori nelle classi in cui faccio formazione, compiere una prima fase di rilevazione dell’atmosfera emotiva. Una sorta di bollettino meteo applicato al nostro mondo emotivo: “che tempo fa di dentro di noi oggi?”.
Ciò mi permette di consapevolizzare il clima emotivo in cui sto svolgendo il mio lavoro e modulare il mio intervento in base alle sfumature che emergono dalla condivisione.
Questo esercizio, se si può chiamare così, non è assolutamente fuorviante rispetto al focus del percorso formativo, anzi è facilitante.

 

Le emozioni e i sentimenti, ma soprattutto la consapevolezza di essi permettono connessioni che creano relazioni con il proprio mondo interiore e con l’ambiente circostante. Sono la chiave principale per aprire la porta di conoscenza e comprensione di Sé.

 

Questo periodo ha rappresentato per molte persone una sorta di riposizionamento della scala dei valori e delle priorità. Un qualcosa che ha a che vedere con la domanda del tipo: “ok vista la situazione cosa ho imparato o posso imparare da questa quarantena?”
Anche nel riprendere questi argomenti con i ragazzi con cui ho svolto questo percorso di formazione sono emersi e non abbiamo tralasciato i vissuti di noia, nostalgia, scoperta e sorpresa, tristezza e rabbia. E forse una cosa che abbiamo imparato è che se ci diamo tempo ed eliminiamo i rumori di sottofondo che spesso invadono le nostre vite frenetiche riusciamo a “sentire” e contattare i sentimenti che ci attraversano capendo il perché ci vengono a fare visita. In questo modo riusciremo a scoprire qualcosa di più di noi stessi e magari condividendo maggiormente con gli altri ciò che proviamo ci accorgeremo di non essere immersi in quella condizione esistenziale che ci fa sentire soli.
Una nuova strada verso il benessere.

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